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15 giugno

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Una pedagogia delle neuroscienze: perchè sì

Una pedagogia delle neuroscienze: perchè sì

Mentre nel percorso di crescita del bambino la scoperta e la consapevolezza del suo corpo avvengono sin da subito e in maniera molto naturale, per la mente il processo non è così immediato. La ricerca neuroscientifica può contribuire in questo senso a guardare verso nuovi modelli pedagogici in grado di aiutare il bambino a comprendere le sue piene potenzialità e orientarsi al loro sviluppo. Una nuova pedagogia che riesca sin dai primi anni di vita guidare il bambino alla scoperta del suo mondo interiore, dei suoi pensieri, delle sue emozioni e delle sue aspirazioni, è di fondamentale importanza in un percorso di acquisizione di consapevolezza delle sue potenzialità non solo fisiche, ma anche cognitive.

Le ricerche in questo campo seguono le intuizioni della scienziata italiana Rita Levi Montalcini, una delle prime a lanciare un ponte tra neuroscienze e pedagogia dimostrando l’evolutività dell’apprendimento grazie allo stimolo delle potenzialità umane sollecitate dal contesto. In base a queste scoperte, secondo la scienziata italiana era necessario non solo continuare a studiare queste straordinarie capacità, ma anche applicarle ad una pedagogia che si occupi di rendere consapevoli i bambini dell’enorme potenziale che è nascosto nella loro mente.

Accade spesso che fino all’età adolescenziale i ragazzi ignorino la maggior parte dei processi nei quali il proprio cervello, che potremmo definire l’hardware, e la propria mente, il software, sono non solo coinvolti, ma molto spesso assoluti protagonisti. In una ricerca dal titolo “Young Children’s Changing Conceptualizations of Brain Function: Implications for Teaching Neuroscience in Early Elementary Settings" gli psicologi Peter Marshall e Cristina Comalli della Temple University di Philadelphia hanno deciso di indagare sulla questione e hanno chiesto ad un gruppo di bambini dai 4 ai 13 anni a cosa servisse il loro cervello. Il 96% ha risposto semplicemente “a pensare”.

Lo studio, pubblicato su Early Education and Development, ha coinvolto in totale 86 famiglie statunitensi e i loro 53 bambini divisi in tre categorie per età. L’obiettivo è stato quello di scoprire quanto i bambini conoscono riguardo al cervello e alle sue funzionalità partendo da semplici domande sulla loro vita quotidiana. Nella prima tranche della ricerca ai bambini sono state sottoposte delle domande sulla relazione tra i sensi, le emozioni e l’attività cerebrale, come ad esempio: “stai usando il cervello mentre senti il profumo di un fiore, assaggi qualcosa di buono, ti senti felice o quando stai pensando a qualcosa?”.

Le risposte dei bambini hanno evidenziato una consapevolezza sulle funzioni del proprio cervello direttamente proporzionale all’aumentare della loro età. I bambini della fascia 4 - 6,5 anni, ad esempio, tendono a pensare molto di più che il loro cervello sia fatto per pensare (94%) e molto meno che sia coinvolto nell’odorare un fiore (12%) o assaggiare qualcosa di buono (12). Nelle risposte dei bambini della fascia intermedia (6,5 – 9) il cervello è ritenuto sempre altamente responsabile del pensiero (94%), ma in buona percentuale (39%) anche del sentirsi felici, sentire i sapori e gli odori. I bambini più grandi (9 – 13,5), infine, che pure credono che il cervello nel 100% dei casi sia coinvolto nel pensiero, hanno una consapevolezza maggiore che i sensi come l’olfatto (odorare fiori 72%), il gusto (assaggiare qualcosa 83%) o le emozioni (sentirsi felici 72%) siano correlati all’attività cerebrale.

I risultati di questi test sono particolarmente interessanti se li confrontiamo con quelli di una ricerca condotta da Johnson e Wellman nel 1982. Nonostante negli ultimi anni la ricerca neuroscientifica abbia prodotto scoperte notevoli, il funzionamento del cervello si dimostra oggi come più di 30 anni fa un argomento poco approfondito sia a scuola che in famiglia. Questo, insieme all’impossibilità da parte dei bambini di avere un’esperienza concreta nell’osservazione di quest’importante organo durante la fase della loro crescita, contribuisce a formare, soprattutto nei bambini più piccoli, la convinzione che la funzione del cervello sia relegata al solo pensiero. Intorno ai 9 anni, invece, i bambini iniziano a guardare al proprio corpo come una macchina che funziona grazie a diversi sistemi che lavorano tra di loro e ad associare i sensi e le emozioni all’attività cerebrale.

Marshall e Comalli però sono convinti che i piccoli studenti potrebbero iniziare questo percorso di consapevolezza già dal primo anno delle elementari e per questo hanno costruito per i bambini della fascia d’età più bassa delle mini-lezioni di 20 minuti sul funzionamento del cervello e sul suo coinvolgimento con i 5 sensi e le emozioni. I test proposti tre settimane dopo hanno evidenziato che venti minuti sono stati sufficienti per migliorare le conoscenze dei bambini sulle funzioni del cervello umano, risultati messi a confronto con quelli derivanti da una lezione dello stesso minutaggio sulla vita delle api.

I risultati dei ricercatori della Temple University vanno nella stessa direzione dello studio del 2007 della psicologa Carol Dweck della Stanford University. La ricerca ha dimostrato come la conoscenza da parte degli studenti delle potenzialità del proprio cervello, delle sue funzioni e soprattutto della sua plasticità, accrescano la motivazione e la capacità di resilienza nel loro percorso formativo e di crescita. Quando l’attenzione degli studenti è focalizzata sulla comprensione che le loro abilità cognitive si possono allenare e migliorare, essi si dimostrano più capaci di affrontare le piccole delusioni e le problematiche di percorso e più motivati nel raggiungimento di risultati scolastici migliori.

I risultati delle ricerche della Dweck e l’idea di Marshall e Comalli di avviare i bambini già dalla prima elementare ad una “pedagogia delle neuroscienze” vanno verso un percorso di crescita globale del bambino, che sia in grado di permettergli sin da subito di acquisire consapevolezza delle infinite potenzialità offerte non solo dal suo corpo, ma anche della sua mente, per renderlo più pronto ad affrontare le sfide della vita.


BIBLIOGRAFIA

- Bloom P., Buoni si nasce. Le origini del bene e del male, Le Scienze, 2014.
- Murphy-Paul A., What kids should know about their own brain, KQED, 2012.
- Marshall P. J., Comalli C. E., Young Children’s Changing Conceptualizations of Brain Function: Implications for Teaching Neuroscience in Early Elementary Settings, Early Education and Development, 2012.
- Dweck C.S., Blackwell L.S., Implicit Theories of Intelligence Predict Achievement Across an Adolescent Transition: A Longitudinal Study and an Intervention, Early Education and Development, 2007.