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01 febbraio

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L'identità al bivio e la favola di Alice

L'identità al bivio e la favola di Alice

Nel corso di questa rubrica abbiamo imparato come l'indagine scientifica, soprattutto nelle neuroscienze, tenti oggi di fornire una spiegazione della coscienza, ma abbiamo imparato anche a essere prudenti sui possibili risultati di questa indagine ancora aperta. In particolare, oggi sappiamo che il contenuto della nostra coscienza, e in particolare il sentimento della nostra responsabilità, non si devono considerare senz'altro illusori. L'atteggiamento giusto è piuttosto questo: bisogna per un verso informarsi sui contenuti e sugli sviluppi aperti della ricerca scientifica, mentre per l'altro verso non bisogna aspettarsi che questa ci sollevi dall'incarico di condurre la nostra vita. La conoscenza fa parte di questo compito, e non lo sostituisce con un colpo di bacchetta magica.

L'atteggiamento critico di cui sto parlando vale per i contenuti della credenza ingenua, per la religione, per la cultura tradizionale, così come per la scienza. Esso appartiene alla nostra tradizione filosofica, almeno da quando l'istruzione di massa e la possibilità di discutere apertamente le istituzioni culturali, con l'Illuminismo, è divenuto parte integrante della nostra esperienza di cittadini. Ma non si deve pensare che la questione sia puramente accademica, e riguardi gli aspetti esteriori della nostra vita; al contrario, riguarda la nostra stessa identità in costruzione. Questo punto, che è stato fin dal principio alla base di questo nostro percorso, richiede ora un chiarimento.

Che la comprensione di me stesso, in quanto persona, non sia riconducibile esclusivamente all'apparato del sapere scientifico (almeno nella sua forma attuale) è parso chiaro a molti filosofi e scienziati di cui abbiamo parlato. Molti, nello stesso tempo, hanno messo in rilievo come la nostra identità si costituisca attraverso il tempo, e i tanti momenti di coscienza che viviamo al presente, secondo una struttura essenzialmente narrativa. Già Kant paragonava l'unità dell'Io a quella di una favola. Negli ultimi anni, per esempio, un filosofo materialista come Daniel Dennett ha scritto che l'identità va considerata un "centro di gravità narrativo" che unifica le nostre azioni; e analogamente il filosofo francese Paul Ricoeur ha sottolineato che l'"identità narrativa" è ciò che veramente collega ciò che siamo, nella grande diversità dei nostri cambiamenti. Queste idee sono state riprese dai neuroscienziati di oggi, come Edelman, che parla di "coscienza auobiografica" – come se l'identità sorga dalla scrittura di una autobiografia sempre aperta – o Damasio, che parla analogamente della nostra esperienza cosciente come di un "film nel cervello". Insomma, per rispondere alla domanda: "chi sei?", si risponde raccontando una storia.

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